L'Abruzzo
vanta una propria e sfortunatamente poco conosciuta tradizione legata
alla produzione di coltelli pieghevoli. Il classico coltello “Gobbo”,
figura caratteristica della regione, è commercialmente conosciuto in
alcune imitazioni presso altre parti d’Italia (Scarperia – Toscana,
Frosolone – Molise), ed è attraverso queste revisioni che assume la
dicitura generica di “Gobbo Abruzzese”.
In realtà
si tratta di un'antica tipologia di coltello di foggia tipica ed
originale prevalentemente da lavoro, realizzato in acciaio carbonioso
perlopiù di recupero, attraverso l'utilizzo della forgia a carbone. La
sua forma è inconfondibile e nota sin dalla fine del 1700; ampiamente
diffuso in ambito rurale e pastorale e leggendariamente in voga tra i
briganti, il “Gobbo” era costituito da una lama e da una molla di
contrasto inserita nel dorso del manico, che ne consentiva la
ritenzione sicura durante la fasi di chiusura ed apertura, ed anche in
una terza fase intermedia, finalizzata alla protezione della mano in
caso di chiusura accidentale durante pesanti lavori. Il manico era
generalmente realizzato da una punta di corno bovino adulto, anche se
determinati esemplari di fascia più economica venivano immanicati con
la parte cava del corno, tagliata ed “addoppiata” a caldo. La lama era
caratterizzata dalla classica sagoma “a fronne de live” (a foglia
d’ulivo), estremamente acuminata e dotata di un controfilo dorsale non
affilato; alcuni dei coltelli venivano proposti nella variante a punta
arrotondata, destinatarie principalmente le massaie, che solevano
portare il coltello in una tasca del grembiule lasciandolo aperto e
pronto all’utilizzo. Elementi metallici ed impugnatura venivano
assemblati attraverso l'utilizzo di ribattini in ferro dolce alle cui
estremità erano poste delle rondelle in ottone o altro materiale, sulle
quali le “teste” dei perni stessi andavano ribattute per permettere un
eventuale successivo smontaggio nel caso vi fosse necessità di riparare
uno o più componenti. Determinati esemplari di particolare pregio
destinati alla collezione, potevano essere arricchiti con varie
decorazioni della lama o fregiature del manico realizzate con metalli
preziosi.
Le maestranze più note erano quella di Guardiagrele, dove in epoca
contemporanea spiccava il nome di Emidio Spinogatti e di generazioni di
“fabbri coltellai” quali i Ferrari e i Di Prinzio, e quella di Loreto
Aprutino con i maestri De Lellis e Liberatore. Presso Guardiagrele e
Loreto ed in alcuni casi presso maestranze non abruzzesi si riconoscono
esemplari dotati di un dispositivo di blocco della lama attraverso
l'ausilio del sistema in gergo denominato “a scrocchi”, in cui il
tallone della lama (la parte bassa) restava incastrato in una cavità
realizzata in testa alla molla che non consentiva la chiusura della
lama se non attraverso la trazione di un anello di disimpegno. Tuttavia
modelli del genere non vennero più prodotti in seguito all'introduzione
di un decreto che vietava la produzione ed il porto di coltelli a molla
fissa. Il “Gobbo di Loreto” viene riconosciuto anche sotto la
denominazione di “Gobbo Aquilano” in riferimento non alla città
dell’Aquila, bensì esclusivamente alla provenienza abruzzese; tale
modello non deve essere confuso con quello detto semplicemente
“Aquilano” e che presenta tratti aggiuntivi vari, come il puntale
inferiore del manico realizzato in ottone.
La produzione artigianale di coltelli è andata col tempo perdendosi.
Antonio Rossi, ultimo artigiano di Loreto Aprutino, aveva abbandonato
la produzione destinata al commercio ambulante già nel 1974,
dedicandosi da allora solo sporadicamente alla costruzione di pezzi da
mostra ed all'esibizione pubblica della forgiatura presso fiere e
sagre. Emidio Spinogatti, maestro storico di Guardiagrele, aveva
ugualmente ripiegato per una riduzione della produzione pur essendo
rimasto in attività sino al 2005, anno della sua morte. In passato
aveva vantato un ampio successo sul mercato proponendo i suoi coltelli
in molte piazze abruzzesi, prevalentemente a Lanciano. I coltelli
guardiesi erano molto diffusi in tutto il Centro Italia ed oltre,
tant'è che per approvvigionarsene giungevano acquirenti anche da molto
lontano.
La produzione guardiese vanta la paternità della tipica “mozzetta” da
tasca, altra varietà di coltello con lama priva di punta, e di una
particolare tipologia di gobbo spesso riconoscibile attraverso la
punzonatura sulla lama che riproduce motivi a mezza luna ripetuti,
ottenuti probabilmente con il medesimo punzone utilizzato per imprimere
“l’unghiatura”, ovvero la scanalatura ricurva che permette l’apertura
della lama mediante l’unghia del pollice. Secondo l’opinione di alcuni
il termine “mozzetta” sarebbe tuttavia erroneo e fuori contesto.
Altro modello ascrivibile alla famiglia dei gobbi, successivamente
standardizzato dalla produzione industriale sotto la dicitura generica
e storicamente errata di “Anconetano”, è il cosiddetto “Coltello da
Pescatore”, che a differenza del suo “fratello” rurale presenta una
molla esterna dorsale non incassata; veniva costruito a Controguerra
(Teramo) dal defunto maestro Odorico Lucantoni, figlio d'arte di
famiglia umbra il quale ha poi diffuso questo modello in Abruzzo
donandogli la tipicità regionale; la molla era costituita da una placca
rettangolare adattata al dorso del manico e fissata con una vite, in
modo da essere facilmente asportabile durante le operazioni di pulizia,
assai frequenti a causa dell’esposizione all’umidità ed alla salsedine.
Questo modello, che sull’estremità del manico in corno presenta un
intaglio originariamente utilizzato per la rammagliatura delle reti da
pesca, è ancora oggi prodotto da Nino Nista, artigiano molisano che
opera a San Benedetto del Tronto, allievo di Lucantoni ed unico
coltellinaio attivo che abbia appreso il mestiere direttamente da un
artigiano storico. Il motivo, tuttora dibattuto, per cui questo coltello abbia assunto la
dicitura di “Anconetano” è secondo alcuni legato a questioni inerenti alla legislazione preunitaria in materia doganale e di fabbricazione e commercio d'armi da taglio; la Il modello presenta
tracce stilistiche tipiche dei coltelli “alla romana”, come ad esempio
l'utilizzo della molla dorsale fissata con vite. Questa ed altre
caratteristiche delineano uno stile produttivo anticamente diffuso
nello Stato della Chiesa. Tale stile ha concorso nel tempo ad
arricchire di funzionalità anche modelli riconosciuti come tipicamente
abruzzesi.
Lorenzo Pasquini
Fonti: Lorenzo Pasquini- Emidio Spinogatti (nipote del defunto artigiano)
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